Aggiungo due capitoli, in cui la situazione di Brian e quella di Stef cambia. Perché l'assenza, la privazione, distruggono.
3
Piomba il vuoto
[Brian]
Mi aspettavo di sentire l’irritante vocina di Ftion per tutto il viaggio, catapultata in assurdi e inutili discorsi, come suo solito. Invece stranamente fu silenziosa, un termine che mai avrei pensato di accostare a quella faccia da bambina. Si sentiva che anche lei era preoccupata, benché non desse segni di cedimento. Al contrario mi resi conto che io guidavo nervoso, a scatti, stringendo convulsamente il volante, aggiustandomi di continuo i capelli.
Iniziavo a credere che la forza di Ftion non fosse solo energia fisica. Sapeva rimanere vigile, a quanto pareva.
“Sei preoccupato?” chiese ad un tratto, con voce fresca, che non tradiva la minima ansia, ma era già più calma e seria del solito.
“Tu no?” risposi stizzito, rivolgendole una rapida occhiata.
Fissò davanti a sé la strada.
“Sì. Ultimamente è un po’ strano.”
“Strano come?”
“Stefan è sempre strano, come lo sei tu e tutti quelli che conosco” cominciò Ftion, mentre pensavo che se davvero fosse stata intelligente sarebbe giunta alla conclusione che era lei a funzionare diversamente. “Però in quest’ultima settimana lo è ancora di più. Non ci sto a contatto tutto il giorno, sai che mi piace girare per negozi e locali. Ma so che compra molto vino e quando torno a casa non ce n’è mai un goccio per me.”
Sentii i muscoli tendersi fino a irrigidirmi. Sapevo che voleva dire: Stefan si era dato all’alcol, di nuovo. Quando eravamo giovani e annoiati avevamo provato di tutto, e Stefan non aveva disdegnato nulla. Ero sempre io quello degli eccessi, ma anche lui sapeva andarci pesante, mai fino a rischiare la vita però. Non era mai stato interessato a distruggersi, troppo equilibrato per pensarlo. Era sempre stato amante del vino, fin da quando ci eravamo conosciuti, ma stavolta sembrava diverso. Nessuno avrebbe sospettato che quel gigante buono spesso avesse soffocato nell’alcol il suo malessere.
All’improvviso un’immagine mi colpì con forza sconvolgente: Stefan in coma etilico.
Accelerai furibondo, mentre Ftion rimaneva zitta, forse colpita dalla stessa paura.
Ma non badai a lei, alla strada, ai codici il cui studio mi aveva permesso di avere una patente.
Parcheggiai sotto casa sua in modo casuale e mi precipitai nel suo appartamento, salendo di fretta le scale.
Ftion aprì la porta sicura, ma il tremolio delle mani tradì un leggero stato di ebbrezza e tensione misti.
L’appartamento era di un silenzio assordante.
Sentivo solo il cuore marciarmi nelle orecchie e il fiato corto che cercava un ritmo più regolare e consono alla vita.
Sul tavolo in un angolo della stanza, dove c’era la piccola cucina a parete, spuntava una bottiglia di vino. La esaminai: vuota. Calpestai qualcosa che scricchiolò sotto la suola delle scarpe: vetro rotto, di un bicchiere sicuramente. L’agitazione crebbe tanto quanti erano i pezzettini di vetro in frantumi. Sul ripiano di marmo della cucina c’era un’altra bottiglia quasi vuota.
“In camera non c’è, neanche in bagno. Qui è vuoto” disse Ftion tornando dalla stanza di Stefan.
Non riuscivo a crederci, quindi controllai. Aveva ragione.
Ignorai volutamente il letto ben sistemato. Troppi ricordi, troppi pugni al cuore.
Mi era impossibile pensare a qualunque cosa.
Perlustrai il salotto con lo sguardo, distratto, quando qualcosa attirò la mia attenzione. Sul tavolino all’ingresso c’era il cellulare di Stefan. Le peggiori ipotesi mi assalirono: rapimento, fuga…Stefan steso a morire in una strada. Mi sentii mancare e la nausea mi traboccò in gola.
Corsi a prendere il cellulare, lo sollevai e vidi il pezzo di carta che c’era sotto.
Un biglietto.
Suicidio? Non ebbi il tempo di ragionarci che Ftion me lo strappò di mano. La odiai, prima che un sorriso radioso le si stampasse sul volto.
“Ottime notizie” disse ridendo e riacquistando la solita aura esuberante. “Forse per te non tanto” aggiunse pensierosa, guardandolo a occhi socchiusi, come un bimbo che si atteggia da grande.
Stavolta fui io a strappargli con furia il biglietto dalle mani.
Ftion fece spallucce.
“Grazie Bri, io vado a dormire” disse dirigendosi al bagno.
Lessi agitato quelle parole.
“Sono da Eric. Stef.”
Parole semplici scritte con mano imprecisa, resa tremante dall’alcol.
Aveva un’amante.
Non so se per l’agitazione di poco prima, per la paura provata o il senso di nausea agghiacciante, per qualunque cosa fosse crollai a terra, in ginocchio, raggomitolato su me stesso. Singhiozzai isterico finché non trovai la forza di alzarmi, poggiandomi alla porta.
Con uno scatto la aprii e corsi giù. Dovevo dimenticare tutto.
Non volevo ammettere che Stefan mi mancasse al punto da sentirmi vuoto al suo evidente abbandono.
E tantomeno volevo dire a me stesso che tutto ciò che volevo ora erano le sue braccia.
4
Mancanza di contatto
[Stef]
Mi svegliai e mi resi subito conto che non ero solo. Sentii quel corpo vicino a me e ne presi coscienza ancor prima del mio. Era strano, ma per un attimo mi voltai sorridendo, certo di trovare Brian. Il mio corpo e il mio cuore avevano una dolorosa ma fortissima memoria. Quando mi accorsi che non era lui mi scostai di fretta e mi voltai avvilito.
Ci misi poco a vestirmi e uscire da quell’appartamento. Eric era bravo, energico, biondo come un giovane divo. Ma non era ciò che volevo oltre una notte. Non mi capitava di scappare così da tempo, da quando Brian era diventato l’unico inquilino del mio letto.
Mentre tornavo al mio appartamento in taxi ricordai distrattamente che la prima notte passata con lui era stata sublime e drammaticamente fisica, senza veli. La mattina non ero riuscito a scappare.
Per tempo l’ho creduta la scelta più sensata di tutta la mia vita. Ora mi sembrava la cosa più stupida che avessi potuto fare, perché quel bastardo aveva dato un senso alla mia vita, strappandomelo in pochi attimi.
Dovevo odiarlo.
Eppure, non ci riuscivo.
Poggiai le mani sul sedile di fronte e vi abbandonai la testa. Piansi muto, tanto che il conducente non si accorse di nulla.
Brian mi aveva torturato l’anima, al punto da dissiparla sparpagliandola con malagrazia su un pavimento vuoto e grigio. E ora mi ero perso, non riuscivo a riprendere i miei pezzi.
Quanto ancora durerà? Mi chiesi straziato.
Non riuscivo a capire come mi fossi ridotto così. Forse perché avevo lasciato David per Brian. Non avevo la certezza che mi avrebbe scelto, anzi vivevamo su quel doppio binario continuo senza pensare al futuro, almeno io. Ma col mio compagno era impossibile continuare, non volevo coinvolgere lui. Non anche lui.
Evitavo accuratamente Helena.
Quando avevo visto per la prima volta Cody, in fasce, piccolo e paffuto, con quei grandi occhi che ti bucano dentro come quelli del padre, ma tanto innocenti da renderli privi della stessa volubilità, mi ero sentito riscaldato dentro. Brian lo teneva tra le braccia contento, felice, per una volta davvero. Sorrideva come fosse il giorno più bello della sua vita. Gli andai incontro radioso, ma qualcosa mi era precipitato addosso quando dalla stanza matrimoniale era spuntata Helena, in vestaglia, stupenda come sempre anche in disordine. Li avevo visti stringersi intorno al figlio, provando un’invidia assurda per quella cosa in più che li legava.
Ma poi avevo capito.
Brian non considerava Cody loro figlio. Per lui era suo e basta.
Eravamo riusciti a trattenerci per qualche mese, ma dopo quasi mezzo anno era diventato impossibile. Lui era tornato strisciante nel mio letto.
Riuscivamo a mentire ad Helena solo sostenuti dagli attimi di felicità che godevamo insieme. O meglio, Brian mentiva anche con affascinante e oscura semplicità, io mi limitavo a omettere.
Ero più bravo con i silenzi che con le menzogne. Invece lui…era un maestro. Era ovvio che ci fosse qualcosa di tremendamente sbagliato nella facilità con cui mentiva, con la quale indossava maschere sempre nuove, cambiandole con rapidità sconcertante.
Per un interminabile secondo pensai che avesse usato una maschera anche con me, da sempre.
Ma non riuscivo ad odiarlo, malgrado tutto.
Era questa per me la cosa peggiore.
[Brian]
Non riuscii a tornare subito a casa. Non mi importava di Helena e neanche di Cody. Anzi, era meglio per loro. Dovevo stare un po’ da solo. Avevo portato la mia auto fino a un pub fumoso. Avevo speso un bel po’ di soldi lì, bevendo e lasciandomi andare all’annebbiamento. Nessuno mi avrebbe salvato. Certo non Stef, l’unico in grado di farlo.
Ma riuscii ad uscire ancora in piedi, dopo aver fatto un po’ di casino urlando contro un cameriere distratto che mi aveva versato addosso del whiskey.
Uscii e mi gettai in un locale d’alto rango dove giovani di tutti i tipi, ricchi e affascinanti, sbattevano gli uni contro gli altri. In un angolo un gruppetto stendeva strisce bianche su di un tavolino di vetro che sembrava fatto apposta per quello. Tiravano e si rilassavano sui divanetti di pelle bianca. Qualcuno pomiciava con ragazze dalle lunghe gambe, belle come Ftion ma non altrettanto stravaganti. Mi gettai senza pensarci in quel paradiso, sentendomi per un attimo tornare ai miei favolosi venti anni.
Qualcuno forse mi riconobbe, ma il giorno dopo nessuno l’avrebbe ricordato.
Questo però mi permise di farmi offrire più di quanto potessi pretendere. Tirai fino a non capire più neanche dove fossero i miei piedi, mischiando la lingua con qualcuno che al momento non sapevo se fosse un uomo, una donna o una scimmia moderna.
Mi sentivo un primate stralunato, una fottuta scimmia spaziale, e mi piaceva da matti.
Non so quante ore passai così, prima che tutto sfumasse e perdesse quella sfavillante luminosità.
Mi ritrovai fuori dal locale, a cercare affannosamente dei soldi nelle tasche.
Presi un taxi e pagai bene affinché non mi portasse subito a casa. Feci un giro della città. Ricordo la testa che ruotava penzoloni mentre le luci mi fulminavano gli occhi e la mente, tenendomi sveglio. Cominciai a raccontare tutto al tassista.
E poi, non so come, mi trovai sul divano di casa, steso con la maglietta bagnata e la mente stralunata. Ero caduto di nuovo.
Fui svegliato malamente dalle urla di Helena. Sbarrai gli occhi quando mi sentii strattonare con forza. Riusciva a sorprendermi sempre la sua forza.
“Svegliati, bastardo!”
Ripresi coscienza con una lentezza inesorabile e il primo pensiero fu Stef. Non ricordavo ancora perché, quindi come d’abitudine da un po’ mi limitai a scacciarlo. Ci avrei pensato più tardi.
Mi allontanai dalle mani di Helena e mi misi a sedere, stringendomi la testa tra le mani. Mi faceva male ogni centimetro di corpo, come se fossi passato sotto una pressa, e la mente era troppo pesante perché la mia debolezza potesse opporre resistenza alla gravità che esercitava. Volevo stendermi e non pensare a nulla. Però riuscii a pensare come questa sensazione sgradevole in fondo mi mancasse. Ero proprio diventato un brav’uomo, pensai rabbrividendo. Almeno fino a quella mattina. Cercai di ricostruire i motivi che mi avevano spinto a ricaderci ancora, quando i pensieri vennero spazzati via in un soffio dallo schiaffo di Helena che mi prese in pieno volto.
Alzai uno sguardo interrogativo su di lei. Era furiosa.
“Hel, ma che ti prende?”
Cominciavo a irritarmi anche io. Mi alzai a fatica per contrastarla.
“Me lo chiedi? Come ti permetti? Sei stato dal tuo amico, vero? Hai bevuto con lui? Ti sei drogato? Ci hai fatto sesso, eh?”
La bloccai serrandole i polsi, quasi volessi chiudere i rubinetti delle sue lacrime.
In realtà non ricordavo se l’avessi fatto.
“Smettila, Hel. Non è successo niente di tutto ciò” dissi scandendo bene le parole.
Cominciavo a sentire il peso dei ricordi che improvvisamente avevano preso forma.
La chiamata di Ftion, il vino, Stef, il suo amante.
E poi il pub, l’alcol, la coca. Non sapevo se sentirmi deluso da me, o eccitato. Forse lei aveva ragione: ero ancora un ragazzino. Me lo ripeteva sempre quando litigavamo, o facevamo l’amore.
Ovviamente non avrei detto nulla di tutto ciò a lei.
“Non voglio sentirti, Brian. Non ho intenzione di farmi abbindolare dalle tue menzogne!”
“Hel, te lo giuro.”
Per una volta ero sincero, lei lo capì. Non del tutto certo, ma ora ero certo di non essere andato a letto con Stefan, per quanto lo desiderassi. L’abbracciai e sperai di cancellare il suo rancore. Non potevo darle torto se ancora sospettava di me. Accarezzai i suoi capelli lisci e scuri, che tanto mi avevano ammaliato, sperando di allontanare così una spiacevole quanto interessante sensazione: ora mi sentivo più vivo. Stef, l’alcol, la droga, l’eccitazione…possibile non potessi farne a meno?
Fummo entrambi distratti e allontanati dal pianto di Cody, nell’altra stanza.
Ci guardammo negli occhi e lei, inaspettatamente, sorrise asciugandosi il volto.
“Tranquillo, lo so, vado io” disse allontanandosi.
Sapeva bene il mio modo di fare il padre. Non volevo problemi e responsabilità. Helena meritava di più. Cody meritava un padre più attento. Eppure non lo avrei ceduto per nulla al mondo.
Lui, a dispetto di tutto, era solo mio.