| “Battle for the sun” è forse il primo album dei Placebo del quale non so davvero dare una valutazione oggettiva. Con quest’ultimo lavoro hanno cambiato la mia vita per la seconda volta, dalla prima canzone mi è entrato dentro ed è realmente diventato parte di me. E’ incredibile come abbia vissuto sulla mia pelle ogni singolo brano, e non a distanza di anni perché ho imparato ad immedesimarmi in quelle parole, ma sul momento, al primo ascolto, anzi, dal primo ascolto ad oggi, è stato ciò che ho vissuto e ciò che sto vivendo. E’ stata una specie di telecronaca in diretta di ciò che mi accadeva, realmente o solo nella mia testa. Ed è questo il motivo per il quale, per la prima volta, ho evitato di darmi ad interpretazioni e commenti, ho preferito non riflettere su quello che può essere il vero significato di quei brani, per ora voglio vederli solo per quello che sono per me, e non per quello che sono realmente. Perciò anche in questo topic mi limiterò a raccontare ciò che associo ad ogni canzone dell’album. Citerò solo le prime 13 tracce, perché per me “Battle” è solo quello. Ho avuto la fortuna di sentirlo in anteprima live nelle date inglesi prima che venisse pubblicato, quindi l’unico brano che ho sentito in versione studio la prima volta è Battle for the sun, già per Ashtray heart ho saputo resistere.
Kitty Litter Kitty Litter è energia pura, è un’esplosione emozionale che ti percuote dalla prima nota all’ultima. Sono le date inglesi di apertura del tour, sono due anni senza Placebo che sono spariti in un istante quando si sono spente le luci e loro sono saliti sul palco per la prima volta a Bournemouth. E’ Brian che mi prende la mano a Londra –I wanna feel your touch-, o che mi fa ‘spallucce’ a Parigi leggendo il cartello ‘Brian move closer’. Significa vederli sul palco e pensare –all that I desire-. Voto: 8,5
Ashtray Heart Cenicero cenicero, la canzone mezza inglese mezza spagnola che tutti hanno deriso al primo ascolto con audio pessimo, ascolto che io ho evitato per godermi a pieno l’anteprima live. E’ la canzone dei salti folli in prima fila al Werchter, ho fatto lo stamp dal video e ho quell’immagine anche come sfondo dell’mp3. E’ Michele (Angelic Bitch) che a Bournemouth mi ha chiamata e mi ha detto “Fraaa è questa ashtray!” sulle prime note, sono io in fila che dico “probabilmente perderò i sensi anche solo a sentirgli dire la parola ashtray”, è il viaggio in pullman da Bournemouth a Londra in cui non ho fatto altro che dormire e canticchiare, nei pochi momenti di veglia, cenicero cenicero! Voto: 7,5
Battle For The Sun Questa è stata la canzone che per me ha segnato un confine, mi ha detto basta, mi ha fatto incazzare e riflettere, mi ha fatto andare in cerca di una nuova luce e realizzare che ‘I am the bones you couldn’t break’, perché per quanto qualcuno possa ferirti arriva un certo punto nella tua vita in cui capisci che bisogna girar pagina, ricominciare da capo e dare ad ognuno ciò che merita, niente di più, niente di meno. E bisogna dare anche il giusto peso alle cose e agli eventi. Per me ha significato giorni passati a fissare il vuoto mentre la sentivo al ripetitore e avevo l’impressione che il battito del mio cuore seguisse il ritmo martellante della canzone, giorni in cui ho preso in mano la mia vita e l’ho rivoltata. Voto: 8
For What It’s Worth Game over, lo scrivono sugli schermi in fondo al palco durante la canzone, e forse non c’è frase più appropriata per descriverla. I giochi sono finiti perché non ne vale più la pena, perché una persona non può farsi in quattro per qualcun altro e ricevere solo indifferenza. No one cares when you’re down in the gutter. Ad un certo punto ci arrende e si pensa perché fare tutto questo, per quel che conta, tantovale lasciar perdere. Ma è anche la canzone di Arras (mai quanto Bionic), del ‘lay with me cause I’m on fire’ scritto sulle braccia, che Brandon poteva mal’interpretare. Voto:8,5
Bright Lights E’ la canzone che Giovanni (Molko’s Fever) aveva previsto E’ tutta la follia di quest’estate racchiusa in una manciata di minuti, I have so very much to say about my crazy living. E’ la canzone che mi canticchio in testa quando ripenso a tutte le notti che ci siamo passati a dormire in strada, a volte con il sacco a pelo che ammorbidiva il marciapiedi, a volte senza neanche quello, con un freddo che trapassava anche 7 maglioni. Ma è anche una nuova scelta di vita, ritrovare se stessi e godersi a pieno ciò che si ha, dopo aver capito che si è sprecato tanto tempo. Meglio soffrire un po’ piuttosto che vivere nell’apatia, a heart that hurts is a heart that works. Sono le luci abbaglianti e i buchi neri di Parigi. Voto: 10
Kings Of Medicine Se chiudo gli occhi mentre l’ascolto vedo rettangoli verdi in discesa, delle tartarughe che nuotano, mi vedo mezza addormentata su un libro sdraiata sull’erba col sole caldo di uno di quei giorni che segna il confine fra primavera ed estate che fa capolino fra gli alberi, vedo il mondo a testa in giù, senza motivo, per il gusto di farsi tenere dalle gambe e avere una visione diversa del mondo. Musicalmente la trovo la canzone più dolce di tutto l’album, diciamo che se la gioca con Speak In Tongues. Voto: 9,5
Julien Ce l’hanno tolta dalla scaletta per mezzo tour e n’ero rimasta un po’ delusa, perché la consideravo una delle più belle da sentire live, per fortuna da Parigi l’hanno reinserita. Adoro come svolta a metà canzone, la trovo un po’ la Infra-Red di nuova generazione, you can run but you can’t hide. E sarei proprio curiosa di vedere questo Julien che si è conquistato una canzone dei Placebo tutta per se, io ne andrei fiera anche se in effetti non è bello essere definiti a slow motion suicide. Voto: 8
The Never-Ending Why The tumor becomes malign, but the kids are doing fine. In particolare mi ricorda le date italiane di Livorno e Verona, eravamo noi ‘the kids are doing fine’, e per quanto ci stessero praticamente torturando da dietro dopo che ci ha indicato su quella frase penso che abbiamo completamente perso la sensibilità al dolore. E a prescindere dagli aneddoti concertistici, mi sono trovata un sacco di volte a riflettere sulla frase “time will help you through, but it doesn’t have the time, to give you all the answers to the never ending why’, credo che venga in mente a tutti noi ogni volta che ci troviamo a pensare a qualcosa e non riusciamo a darcene una spiegazione. Voto: 8,5/9
Breathe Underwater O ancor meglio Breate undervater, molto all’italiana, perché se i francesi possono dire Bionìc, Stefàn e Plasebò, noi possiamo leggere l’inglese all’italiana. Per non parlare dei balletti associati a questa canzone, davvero momenti di follia e di euforia incontrollabile. E’ un po’ l’opposto di 36 degrees, canzone e video, dopo anni Brian deve aver realizzato che la sopravvivenza non è un obbligo ma un desiderio umano. Cause I’ve been floating here too long. Voto: 7,5/8
Happy You’re Gone La canzone che se l’avessi sentita qualche mese prima sarebbe stata una via di mezzo fra un calcio nel sedere e un pugno dritto nello stomaco. La canzone che quando l’ho sentita, al momento giusto, mi ha riempita invece di soddisfazione, perché ormai ero davvero felice che se ne fosse andato. Ciò che prima sarebbe stato un Breathe me every time you close your eyes, taste me every time you cry io l’ho visto semplicemente come un Turn away when you see me walking by. In molti abbiamo pensato che potesse essere stata scritta per Steve (Hewitt ovviamente) e forse anche Brian ha voluto o colto questo legame con la canzone e ha preferito giustificarsi: “this is a song about no one in particular”. Voto: 7,5
Devil In The Details Di ispirazione, a mio avviso, estremamente Depechemodiana, è la canzone che ha fatto sfogare a Brian il suo talento tutto da Goldsmith College, chi era a Parigi con me sa bene a cosa mi riferisco. Il male è nelle piccole cose, e spesso non lo notiamo presi come siamo a pensare ad eventi più ecclatanti, perdendoci il particolare. Per tutte le canzoni che spera di scrivere un giorno, sembra che il Diavolo ci sia, intenzionato a rimanere. Voto: 7
Come Undone E’ la canzone con la quale ho avuto un minore impatto istantaneo, mi ci sono affezionata col tempo, ascolto dopo ascolto, ma più che altro concerto dopo concerto. E’ la sensazione di vedere una persona che si sgretola con le sue mani, davanti a te, e non essere neanche in grado di raccoglierne le briciole, la polvere che resta. E’ un masochismo/vittimismo portato agli estremi, all’autodistruzione, un compatirsi fino a disgregarsi, tutto visto dagli occhi esperti di chi, probabilmente, c’è già passato. Voto: 7
Speak In Tongues Speak In Tongues è il presente, sono gli ultimi dieci mesi della mia vita, è un ricominciare da capo. Significa comunicazione reciproca, impegnarsi, fare di tutto per andare avanti in due. Niente di ciò che è rimasto dentro è più da sistemare, è tutto perfetto. E’ puro desiderio dell’altra persona, desiderio fisico (I long I burn to touch you just the same) e desiderio di entrargli dentro, di vedere coi suoi occhi, di sentirne i pensieri prima che diventino parole (so we both can speak in tongues). E’ lottare insieme per lasciarsi indietro il passato e stringersi a costruire un nuovo futuro, gettare oggi le basi per un nuovo domani. Voto: 9
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